Mirko Bertolucci: “in Italia manca la cultura dello sport, la cardioprotezione è fondamentale”
Campione di hockey su pista, Mirko Bertolucci è un attaccante che – sarà la sua forma mentis – non le manda certo a dire. Toscano doc (di Viareggio), il campione che ha vinto tanti trofei in Italia e in giro per l’Europa (come aver conquistato sei volte la stecca d’oro come miglior marcatore) crede che la cultura dello sport in Italia sia ancora marginale.
Quanto è difficile sensibilizzare le persone che è importante la prevenzione?
“Non è molto più difficile non sensibilizzare, ma è quello di far capire l’importanza che può succedere da un momento all’altro e magari proprio a noi. Si deve prendere coscienza che però esistono persone preparate come Simona Buono che spiegano che esistono mezzi pronti e per intervenire velocemente, come il defibrillatore. Basta vedere cosa accade nel mondo del calcio, con gli atleti che vengono seguiti molto professionalmente in ogni momento, eppure in modo molto veloce può capitare l’imprevisto”.
Sport e prevenzione: più o meno importante?
“Faccio una premessa: gioco a hockey con mio fratello Alessandro (altro campione, ndc), e abbiamo costruito a Camaiore due piste, una di hockey e l’altra di pattinaggio artistico. La nostra idea è quella di racchiudere le due realtà, insieme alle nostre mogli. Noi due ci occupiamo dell’hockey e le nostre metà dell’altra disciplina, in pochino più “femminile”. Non lo nego, abbiamo a che fare con molti ragazzetti e ragazzette, ci inorgoglisce, ma è anche un pensiero. E credo che la prevenzione sanitaria sia fondamentale. Infatti ora tutti hanno fatto il corso BLSD, e ora che siamo entrati in contatto con Simona Buono, sono tutti contentissimi”.
Cosa manca all’Italia per far passare il messaggio dell’importanza dei defibrillatori?
“In Italia non esiste una cultura dello sport, lo vediamo come un qualcosa di marginale. Io ho giocato in Portogallo, in Spagna, e le posso assicurare che fuori dal nostro Paese la cultura dello sport è ben altra cosa, è tutto un altro mondo. Lo sport in Italia in genere è marginale anche nelle scuole, non ci sono palestre, in alcuni istituti l’attività sportiva si fa all’interno delle classi, e di conseguenza questa cultura porta a gestire marginalmente tutto il resto, tra cui anche il discorso sulla defibrillazione. Il decreto che obbliga le Associazioni Sportive dilettantistiche a dotarsi di defibrillatori è slittato negli ultimi anni: prima inizio anno, poi 20 marzo, poi ancora altre date. Ebbene, se anche un decreto così importante per la salute viene messo in secondo piano non posso che far le mie valutazioni. Ma è assurdo: la cardioprotezione è un elemento così importante che non può non essere una priorità per tutti”.
Come è nato il rapporto con Simona Buono?
“Fisicamente non ci ho mai parlato, ma i contatti li ho avuti solo per telefono. Me l’ha fatta conoscere Silvia Storari, di cui sono personal trainer, oltre a collaborare con la sua scuola nella preparazione degli atleti. Mi ha dato subito l’impressione di una ragazza molto preparata, che ha passione per questo progetto. Gentilissima, mi ha spiegato mille volte le cose e ad ogni ora. E ora sappiamo esattamente di cosa parliamo e come funziona”.